martedì 26 ottobre 2010

Trasmissione radiofonica

In uno studio di una radio mi trovo ad essere lo speaker e il conduttore di un programma serale, o almeno cosi' mi pare dal cielo buio che vedo oltre le finestre. Le pareti sono insonorizzate con quello che sembrano contenitori di uova dal colore marrone scuro, il soffitto non lo vedo ma deve essere dello stesso colore. Davanti a me, su un tavolo, aparecchiature e microfoni per poter parlare. Io parlo, intrattengo gli ascoltatori ma poi faccio partire una canzone e nel frattempo mi metto a parlare con un collega, dico a voce bassa a lui che queste apparecchiature radiofoniche/audio della Samsung non mi piacciono, non mi ci sono mai trovato bene, e che spero le cambino.
La canzone, o forse era la pubblicita', finisce e io vedo in un angolo della stanza, alla mia sinistra, un ragazzo di colore in piedi che canta davanti a un microfono sistemato su un'asta di fronte a lui, piu' che cantare sembra che faccia dei gargarismi da tanto che è rapido a pronunciare le sue parole, un misto tra indiano e americano. Pero' è simpatico e la canzone che canta, una nuova hit da promuovere del suo nuovo album, si ascolta volentieri. Non appena finisce mi metto cuffia e microfono e vado verso di lui, gli stringo la mano, sorrido (sono di buon umore) e faccio qualche battuta sul suo modo di cantare, beco qualche sorso da una bottiglietta d'acqua e faccio dei gargarismi cercando di imitare la sua voce e i suoi suoni che "cantava" nella canzone... lui si mette a ridere perchè capisce l'ironia, anche io rido e anche il mio collega: l'atmosfera è allegra, ci divertiamo, è bello essere in radio a lavorare.

venerdì 8 ottobre 2010

La scuola diroccata

Mi ritrovo a camminare in un piccolo paese della pianura padana vicino alla mia città, più precisamente in una strada sterrata e coperta di ghiaia dritta che porta direttamente a una grande casa oramai diroccata e parzialmente crollata. Mi ricordo quando da bambino andavo a osservarla, senza entrare perchè abitata e in buono stato di conservazione e mi sembrava una sorta di castello. Di fianco a questa casa, praticamente attaccata, ci stava un piccolo palazzo dei Gonzaga in stato di abbandono, c’era una casa, una sorta di piccola torre e un fienile o un posto dove lasciare i cavalli. Ora, invece, questa casa è semidistrutta e circondata da alberi e cespugli che le permettono di rimanere in un certo senso isolata e “protetta” dalle visite sgradite di gente di passaggio. Deve essere mattina, il sole è di una luminosità intensa tipica delle giornate di maggio, la luce è bianca e non arreca alcun fastidio.
Sono a pochi passi da questa casa e la osservo: i muri sono grigi scuro, consumati dal tempo, gli infissi oramai assenti, il primo piano è parzialmente crollato mentre il piano terra è silenzioso. Giro intorno a questa casa dalla forma rettangolare che mi ricorda tanto una vecchia scuola come se ne vedono da queste parti: pianta rettangolare, solo due piani e giardino annesso. Tutto riposa in modo sereno, e penso che dovrei far alcune foto suggestive ma sono senza macchina fotografica. Sto osservando il primo piano e dal muro parzialmente assente vedo che sbuca una palla che rimbalza e cade giu, dietro al muro compare un bambino di 5-6 anni al massimo che non si cura della mia presenza e guarda la palla cadere. Allora qualcuno c’e’!
Ritorno in un secondo momento, questa volta con la macchina fotografica e vedo che questo posto si è riempito di persone, quasi tutti bambini che giocano a palla tra di loro, diversi stanno al primo piano, altri al piano terra dentro l’edificio e si muovono, parlano, lasciano andare queste palel di plastica ovunque. E’ un bello spettacolo e decido di fare qualche foto partendo dal piano terra, costituito da un unico salone in cui vi sono anche alcuni adulti che “lavorano” seduti a vecchie scrivanie, sto per scattare la foto quando l’obiettivo della mia reflex mi cade per terra: per fortuna non si è rotto, l’avevo solo incastrato male. Scatto qualche foto e poi ritorno al punto di partenza per fotografare i bambini al primo piano: sono momenti suggestivi e particolari le cui foto di sicuro saranno uniche e molto apprezzate: scatto una foto mentre tutti i bambini tirano contemporaneamente la loro palla sul terreno, è una cosa strana ma bella.
La mia attenzione viene infine attirata da una notizia strana, ovvero che a occhio nudo è possibile vedere il lancio e il percorso in cielo di un missile che verrà lanciato a poca distanza da cui mi trovo: è una cosa affascinante e sono curioso di vederlo sfrecciare tra le nuvole con la scia luminosa del carburante che brucia. E invece mi ritrovo io in questo missile, seduto comodamente a una poltrona mentre vedo rapidamente che la terra si allontana e io sto salendo sempre di piu’: vengo colto da vertigini e comincio a pensare al fatto che questi lanci sono rischiosi, che puo’ esplodere tutto da un momento all’altro e che posso morire, sono molto teso e le vertigini non aiutano, ma sto andando in alto e non posso fermare la corsa di questo bolide, che sensazione strana, ho paura ma oramai a breve saro’ lontano da tutto e da tutti.

Obitorio d'estate

E’ un torrido pomeriggio d’estate e mi trovo nella mia casa, mi affaccio alla finestra di una stanza del primo piano e guardo fuori: campagna brulla, arida, illuminata dal sole, si vedono le crepe del terreno dallaf inestra e tutto è circondato da un silenzio irreale. In lontananza arriva un carro di legno dalle ruote grandi, sembra che sia trainato solo da uomini, su di esso una bara chiusa  coperta da un lenzuolo grigio stropicciato. Non voglio occuparmi di quest’altro defunto, non mi compete e se dovessi occuparmene mi sentirei a disagio. Incarico un ragazzo di suzzara di occuparsene e lui prontamente scende le scale e va incontro a quegli uomini. So che portera’ la cassa da morto in un seminterrato della casa dove si occupera’ di sistemare meglio il morto, riaprendo la cassa stessa.
Mi viene in mente, senza un motivo preciso, l’estate del 2003, una delle estati piu’ calde mai vissute, dove non avevamo il seminterrato e dovevamo appoggiare la bara su un tavolo di marmo che si trovava all’aperto: ricordo il tavolo illuminato parzialmente dal sole e una bambina seduta a questo tavolo che incurante di quello che  stava per avvenire (la consegna e la sistemazione della bara sul tavolo stesso), mi guardava con espressione vagamente pensierosa e seccata, accanto a lei sulla superficie di marmo stava un gatto accovacciato che sonnecchiava, un gatto dal colore arancione.
Il ricordo finisce e mi ritrovo nel seminterrato, una sorta di salone rettangolare scavato nella roccia, le cui quattro pareti sono coperte di piastrelle bianche tipiche dei bagni pubblici (che hanno preso una colorazione tendente all’azzurrino-verde con il tempo), vi è una finestra rettangolare sul lato piu’ lungo che da cui si vede il cielo e una porta sul lato piu’ corto da cui vi si accede. Su un altro lato del muro, a circa 3 metri di altezza  vi sono due buchi d cui cola dell’acqua lungo le piastrelle: forse due sfoghi per l’acqua che scorre all’interno della roccia e che si è scavata un percorso negli anni.
Con me ci sono altri ragazzi, che sono un po’ in tensione per il fatto di trovarsi in una sorta di obitorio. Vi sono infatti dei lettini di metallo con rotelle su cui vengono appoggiati, e poi coperti con un lenzuolo, delle persone appena defunte, una di queste è un barbone morto a forza di bere alcool, un’altro è un uomo che ha vissuto la sua normale vita e ora si è spento in modo “naturale”. Non provo paura o ribrezzo per questi corpi e per tutto l’ambiente in cui mi trovo, anzi mi sembra tutto “naturale”, perchè dovrei essere spaventato? Non mi avvicino pero’ a questi corpi, lascio che sia il personale addetto a occuparsene e infatti questi ultimi fanno il loro lavoro con sobrieta’ senza dare nell’occhio.