giovedì 31 gennaio 2008

Sogni scoloriti

Primo sogno confuso
Sto girando con una sorta di scooter in una città decadente, deserta per colpa di una guerra. E' la mia città, e giro assieme ad un'altra persona che mi deve far conoscere dei gruppi di sopravvissuti che si sono riorganizzati nella città. Mentre mi muovo tra baracche, palazzi semidistrutti, macerie, strade sterrate sovrastate da un cielo grigio percepisco dall'ambiente circostante una sorta di angoscia, come se stesse per succedere qualcosa, qualcosa che non riesco ben a capire che cosa sia... poi raggiungo questo gruppo di persone, ma non ricordo altro.


Secondo sogno
Mi trovo in un edificio universitario, destinato agli studenti quindi poco accogliente e squallido come se ne costruivano negli anni 60/70 in Italia: stanzoni con luci al neon, armadi di metallo grigi e tristi con porte scorrevoli, muri dipinti per metà con il marrone insulso e depressivo e per metà con quel bianco quasi giallo che arriva fino al soffitto. Tipiche stanze di edifici italiani del cazzo.

Girando qua e la entro in una stanza di queste. Le luci al neon sono spente e una sola finestra è aperta e fa entrare la luce di una mattina o di un primo pomeriggio dal cielo grigio e triste anch'esso. Dalla porta dell'aula entra la luce del neon del corridoio e in eco in lontananza sento le voci di altri studenti che fanno casino o parlano tra loro. Sui banchi e sopra a un armadio metallico di questa aula trovo dei libri, li sfoglio e poi mi metto a leggere. Il primo libro, con carattere uguale a quello della macchina da scrivere, tratta delle modalità di pronuncia e di scrittura di diversi termini matematici e altre parole tecniche italiane scientifiche: mi rendo conto che io ho copiato 2 o 3 capitoli interi così come erano nella mia tesi di laurea. Mi chiedo perchè mai ho copiato della roba così inutile e insignificante da un libro vecchio nella mia tesi, questa roba non serve a niente, perchè l'ho fatto? Mi sento quasi in colpa, ma poi lascio perdere e passo ai libri successivi.
Questi libri presentano una sorta di esercizi di matematica e di problemi di ragioneria infarciti con domande tranello e rompicapi, le pagine sono leggermente ingiallite e il tipo di carattere è di quelli vecchi da tipografia pre-informatica, il solito libro scolastico squallido all'italiana insomma. Mi metto a leggere i problemi e mentalmente li risolvo, altri li devo impostare su un foglio di carta ma comunque ho la soddisfazione di riuscire a trovare una soluzione, insomma non sono un incapace.
Piu' tardi mi ritrovo nella stessa aula con 5 o 6 professori seduti ai banchi, e parlo a loro di questi libri, loro si stupiscono e mi chiedono che cosa ho fatto, cosi' ho raccontato che ho risolto diversi problemi. Increduli mi guardano e mi fanno altre considerazioni... a quel punto però decido di svegliarmi, il sogno è troppo squallido.

giovedì 24 gennaio 2008

Corsa d'estate in zona collinare

Sono in collina, probabilmente in un paese degli appennini a 2 passi dal mare. E' estate, si sta bene ma il cielo è grigio. Ambrogio mi invita a fare una corsa su e giu' per le colline per raggiungere il paese vicino. Da pigrone quale sono mi lamento un po' dicendo che non ce la faro' mai ad arrivare cosi' lontano fino all'altro paese, e poi tra salite e discese e l'eventuale pioggia la cosa si fa difficile. Tuttavia la sua insistenza mi smuove e comincio a correre con lui, ci sono con noi altre 2-3 persone che conosco ma che non riesco ben a identificare. Corriamo su un sentiero, attraversiamo zone rurali in cui vi sono scalinate che aiutano a "salire" in certe aree collinari, per alcuni tratti in salita io conosco l'esistenza di una scorciatoia: una sorta di sottopasso breve che permette di tagliare il sentiero in curva e in salita. Cosi' facendo sbuco sempre un secondo prima che arrivino gli altri e sono meno affaticato di loro. A un certo punto piove, ma la pioggia non da fastidio: non è troppo fitta e soprattutto è tiepida: abbiamo una canottiera di quelle sportive addosso e la sensazione della corsa, della fatica e della pioggia addosso calda e morbida dà sensazioni uniche e appaganti. Anche questa volta andare a correre ne è valsa la pena, il clima mite e il panorama delle colline con la presenza del mare che si vede in lontananza hanno reso l'esperienza degna di essere vissuta. La pioggia va e viene, ma è solo benvenuta.
Attraversando case immerse nella natura arriviamo probabilmente nel paese, ovvero ci imbattiamo nella prima costruzione sulla strada: una chiesa vecchia fatta in pietra, le mattonelle sono irregolari e piu' o meno grandi e suggeriscono l'idea che siano state prese direttamente in qualche zona dei dintorni. A questo punto le facce di chi corre con me (tranne Ambrogio) cambiano e cambia anche il nostro vestito: ognuno di noi ha un lenzuolo bianco addosso, perchè stiamo per entrare nella chiesa correndo per fare un po' gli scemi. Entriamo dal portone principale e senza fermarci percorriamo la navata centrale ridendo a voce alta e poi usciamo direttamente dal portone "sul retro"; la chiesa fa parte probabilmente di un monastero, ci sono persone attorno all'edificio, il cielo è di un grigio molto chiaro e credo anche che ci sia foschia attorno a noi...proseguiamo nella corsa ma a questo punto tutto si fa confuso e non ricordo piu' nulla.

domenica 20 gennaio 2008

Frammento di sogno

Sono a casa mia, o in una stanza simile al salotto di casa mia. Ma non sono nello stesso luogo in cui vivo abitualmente. Guardo fuori da una delle finestre e vedo che si sta preparando una sorta di banchetto, una festa probabilmente di paese ma piuttosto raffinata: tavoli sedie, personaggi vestiti come nel 1700 (con quelle parrucche bianche piene di riccioli bianchi e lunghi), il cibo che sta sui tavoli è molto invitante. Tutte queste cose hanno lo stesso colore: il seppiato come nelle foto. So che è un'azienda specializzata con persone e cibo e oggetti a organizzare questo genere di banchetti. Però io non riesco ad arrivare abbastanza vicino a loro per poter assaggiare qualcosa, così mi devo accontentare di guardare dalla finestra.
La festa paesana si svolge in un paese particolare, sempre della bassa e io esco dalla casa di campagna in cui mi trovo per guardare i campi attorno a me e fare qualche foto. In lontananza ci sono le montagne (come quando si possono vedere nelle giornate nitide) e attorno alla mia casa campi verdi tagliati dall'unica strada asfaltata che passa per la casa di campagna da cui sono appena uscito. Mi incammino per questa strada con una persona del posto che mi descrive la zona. Mentre cammino osservo alla mia sinistra il sole in una posizione non ben precisata, ma la scena ha i colori diversi, un po' contrastati... il cielo è azzurro e nero a tratti sfumati, come se ci fossero nuvole di temporale, ma non c'e' il temporale. C'e' il sole. Forse è una mattina di primavera di marzo o di aprile, perchè la luce è particolare, l'erba dei campi è lucida, forse c'e' sopra della rugiada. E' tutto cosi' nitido... Mentre cammino l'uomo mi dice che questo è un bel posto, perchè si puo' godere la vista delle montagne da lontano e la lieve depressione del terreno (una sorta di zona pre-collinare) permette di vedere in modo particolare i prati e i campi che "si abbassano" di qualche metro fino a perdersi verso le montagne.
Scatto diverse foto, perchè il posto è proprio bello. Sono contento perchè le zone nere del cielo unite alle montagne in lontananza e alla strana luce del sole mi permettono di fare foto particolari d'atmosfera, oniriche! Cerco di fotografare la strada davanti a me con lo sfondo delle montagne in lontananza ma un bambino che cammina nel senso opposto a noi (ovvero verso di noi) rovinerebbe al foto e allora devo aspettare che ci passi abbastanza vicino da non comparire nell'inquadratura della foto. Finalmente trovo uno scorcio da fotografare e scatto. Sono felicissimo.
Peccato che poco dopo mi sto per svegliare e tornando un po' nello stato di veglia capisco che quelle foto non potro' vederle mai piu' e che le ho perse per sempre. Peccato, erano bellissime.

venerdì 18 gennaio 2008

Picciotto sono

Sono un picciotto della mafia italo-americana. Sono un "iniziato" alla vita di mafia, sono giovane e devo obbedire agli ordini dei miei "superiori", ovvero il boss o il suo braccio destro. Il primo ordine che mi arriva dal boss è di salire su un treno e controllare i movimenti di un uomo ciccione con i baffi, mo viene ordinato di seguirlo se va in bagno e di rimanere accanto alla porta che il ciccione si chiude dietro di se, poi aspettare che arrivi il braccio destro del boss che gli fa le feste, io evidentemente gli devo dare una mano a farlo fuori. Tuttavia, nonostante sia ben conscio di quello che devo fare, mi accorgo (sempre nel sogno) che ho già vissuto questa esperienza. Si, ho già fatto lo stesso sogno e ubbidivo a tutti gli ordini e pian piano diventavo un picciotto di quelli potenti grazie a violenze e soprusi. Ma questa volta no, questa volta decido di reagire, io non voglio fare il picciotto che vive in mezzo alla violenza. Cosi' a un certo punto scendo dal treno con stupore dell'altro uomo che mi aspettava vicino al bagno che mi intima di tornare. No, io non ci sto, me ne vado!
Prima che iniziassi a diventare picciotto avevo una ragazza in Argentina, bionda con i capelli lisci e ho intenzione di tornare da lei a farle una sorpresa. Così mi reco nell'edificio in cui vive (o lavora, non lo so) e cerco una stanza con un telefono fisso e la chiamo al cellulare, quando lei risponde io faccio finta di essere lontano e dico che la comunicazione è disturbata...poi lei spostandosi per le camere mi vede, capisce lo scherzo e mi corre incontro abbracciandomi forte. Poi ecco che il richiamo mafioso si fa sentire ancora: ricevo in qualche modo una comunicazione del boss di ripresentarmi e allora mi sento in obbligo di andarmene via da questa ragazza, lei lo intuisce e si arrabbia, piange grida e mi da i pugni sul petto gridando "perchè? dove vai? dimmelo dove vai!" ma io non posso dirle niente, non posso dirle che vado a fare del male in giro! Nonostante questo so che probabilmente non andro' dal boss, ma andro' via per i fatti miei. Scendo le scale della casa e arrivato al piano terra, di fianco alle scale, trovo un tavolino di legno rettangolare con sopra un biglietto per me: è grande come un foglio A4, è di cartoncino rigido, formato da una striscia bianca attorno ai lati (che funge da cornice) , poi dentro alla cornice il restante rettangolo è tutto in blu scuro con in cui vi sono scritte delle frasi in colore rosa o arancione. Leggo frasi del tipo: "Io ho provato sensazioni che tu non hai avuto il coraggio di provare. Io ho fatto cose che tu adesso non riusciresti a fare. Io ho preso decisioni che tu adesso non riesci a prendere" e altre 2-3 frasi del genere. So chi l'ha scritto: sono stato io. Il "me stesso" dello stesso sogno mafioso fatto tempo fa comunica al "me stesso" attuale di questo sogno che lui da mafioso ha fatto cose che io ora non ho il coraggio di fare, che lui ha tirato fuori le palle e invece io non ho fatto niente e ho deciso di fare il "buono". Lascio il biglietto sul tavolino ed esco dalla casa...

lunedì 14 gennaio 2008

Gita in Germania

Mi trovo nel camioncino con il capo scout Stefano (o forse nella sua auto), sul lato passeggero di fianco a lui che guida. Stiamo per arrivare in un parco che si trova in Germania. E' mattina e c'e' il sole.
Arriviamo al luogo prestabilito ma non troviamo parcheggio e allora Stefano gira un pò ovunque attorno alla sede del parco guidando anche su delle "isolette" di prato verde tenuto alla perfezione rovinandolo con il segno dei pneumatici. Finalmente trova le indicazioni le righe bianche sull'asfalto che delimitano il parcheggio e le aree di sosta per le auto e si infila in uno di questi spazi. Scendo dal camioncino pensando ai poveri prati rovinati, e mi guardo intorno: vicino a noi ci stanno i parcheggi degli autobus, alcune di queste sono già arrivate, altre si stanno per fermare nelle zone delimitate dalle striscie. Appena ferme ecco che dalle porte esce una marea di persone, tutte anziane con prevalenza donne. "Cavolo! Quanta gente in questo posto, ma ci staremo tutti? Deve essere proprio gettonato e famoso". Ci incamminiamo verso i prati del parco, camminando ancora sull'erba, il sole sopra di noi non scalda anche se probabilmente è una giornata di tarda primavera. Ci sistemiamo in un punto con gli zaini e guardandomi attorno vedo che molta gente va verso un edificio. Compare dal nulla Sara, che mi spiega che c'e' una chiesa immersa nel verde famosa perchè al suo interno tante persone chiedono aiuto a Dio, e sono tanti i casi in cui si sono avuti miracoli o si sono esauditi desideri particolari che le persone hanno chiesto: questo parco insieme alla chiesa è considerato come un luogo particolare, sacro e di speranza.
Anche se vorrei star fuori a prendere il sole e a cazzeggiare, mi sento in dovere di andare in quella chiesa, anche io ho qualcosa da chiedere, so già che cosa chiedere e l'occasione che mi si presenta è piu' unica che rara. Così con Sara mi incammino ed entro nella chiesetta. Mi dice che c'e' un modo particolare per chiedere aiuto a Dio, ovvero bisogna tenere nel palmo della mano una piccola candela bianca cubica spenta (lo stoppino è nero ovvero usato, il lato del cubo della candeletta è di circa 3cm) mentre si fanno le preghiere e poi passarla al tuo vicino. Poi bisognava fare altre cose che non riuscivo a capire e quindi li, nella chiesetta, non ho seguito bene la procedura. La chiesetta non è piena, ci sono poche persone, c'e' silenzio.
Mi rendo conto perchè ho visto tante persone anziane e quasi tutte donne e sempre nel sogno faccio una considerazione senza peli sulla lingua: spesso le persone anziane fanno rosari, vanno in chiesa, eccetera quando in giovinezza forse non ci andavano mai, adesso che sentono la fine vicina forse prese dalla paura si mettono a fare le supercredenti... che tristezza. Ecco perchè vengono in massa qua con gli autobus, a cercare miracoli "a gratis"...
Finalmente tocca a me prendere tra le mani la candeletta, un po' la agito tra i palmi semichiusi in modo simile a quando si agitano due dadi, faccio le mie due preghiere con sobrietà, sperando che siano ascoltate, e soprattutto non provo quella smania e la brama di miracoli come tutte quelle vecchie.
Esco e torno al prato e che ti trovo? Franco che ha tirato fuori il fornellino da campeggio e sta scaldando una pentola, tale pentola pero' è molto grande (è quasi un paiolo) e mi chiedo dove l'abbia tirata fuori! E' di rame, con il fondo "a punta", tipo guglia al contrario e non piatto come le pentole normali e scotta. Gli dico: "Franco, menomale che sei scout e che di solito carichi nello zaino la roba essenziale, ma dove l'hai tirata fuori quella pentolona? E poi insomma... prima arriviamo e roviniamo il prato, poi tu tiri fuori tutta sta roba in un prato tenuto bene in Germania!!! Ma roba da farci cacciar fuori!!" e lui risponde: "Eh ho fame!" e vedo che in mano ha una scatola di fagioli appena aperta che versa direttamente nella pentola. Gli dico subito: "Pranzo alla Bud Spencer e Terence Hill eh!", vicino a me e a lui invece Stefano è coricato sull'erba e dice che ora si fa un pisolino. Il sole ci illumina.
Poi tutto si fa confuso e il sogno svanisce, mi sveglio...

mercoledì 9 gennaio 2008

Tromba d'aria in campagna

Sto andando a trovare la mia amica Grazia, che sta in un casottino di legno vecchio, oramai dal colore nero con venature bianche: è costituito da tre pareti e un tetto. Si, tre pareti, perchè la quarta è assente e mette in mostra tutto ciò che sta dentro alla casetta. Intorno ad essa un campo arato, perchè la casetta si trova nel bel mezzo di questo campo con zolle di terra smosse. Dietro la casetta c'e' foschia che non permette di vedere oltre, un cielo grigio che non promette stabilità e un po' di freddo.
Entro, la saluto, la abbraccio e subito ecco che dal suo collo sento il profumo di uno di quei suoi bagnoschiuma unici che solo lei sa trovare e penso tra me e me: "ma come fa a far durare il profumo così a lungo sul suo corpo quando si lava? a me sparisce nel giro di qualche ora". Mi guardo intorno: diversi contenitori di bagnoschiuma ai profumi più vari disposti su mensole di legno attaccate alle pareti, su un tavolino ci sta un MacBook Pro acceso di colore bianco (la versione con schermo piccolo) e di fianco, non ancora in funzione, uno di quei porta-foto digitali che vanno molto adesso, quelli che fanno da soprammobile e che permettono di far vedere decine di foto in sequenza.
Parliamo un po' e a un certo puntovedo da lontano, nella foschia, che c'e' vento e vedo che si sta formando una piccola tromba d'aria che sta venendo verso di noi: per quanto sia piccola (è alta due metri da terra) è comunque pericolosa perchè si avvicina rapidamente e vedo con chiarezza la zona d'aria di grigio un po' piu' scuro (rispetto alla foschia) che costituisce la parte di vento che ruota attorno all'occhio del ciclone.
Usciamo e ci allontaniamo quasi correndo, ogni tanto mi volto indietro per controllare la nostra distanza rispetto a quella brutta cosa e dico: "speriamo non distrugga la tua casetta", ma ecco che la tromba d'aria ci passa proprio in mezzo e frantuma il legno in mille pezzi che si spargono attorno alla tromba d'aria stessa in modo circolare. Siamo sempre in mezzo alla campagna, guardo per terra e vedo i nostri piedi che camminano su una strada formatasi nell'erba a forza di camminarci sopra da altre persone.
Compare una ragazza terrorizzata dalla tromba d'aria, non ricordo che cosa mi diceva, ma comunque le risposi a tono e mi sembrava una rompiscatole. Da quel punto la mia amica sparisce. Non ricordo altro, anche se so che sono successe un sacco di cose, colpa del sogno che sparisce nel giro di pochi minuti dal risveglio.

giovedì 3 gennaio 2008

Angoscia e solitudine (un brutto sogno confuso da dimenticare)

Mi trovo a Motteggiana, in un anno imprecisato del futuro ma non molto lontano dal 2008.
Sono in una stanza con un letto, dei poster, una finestra. Questa finestra guarda la torre del campanile. La stanza mi sembra familiare, mi affaccio alla finestra a guardare la torre che è diversa da come ero abituato a vederla di solito, un pò minacciosa, un pò spettrale, insomma non è più la stessa e questa cosa mi preoccupa.
So che in un piano interrato, sotto alla mia stanza, c'e' una serie di passaggi e in particolare una stanza segreta contrassegnata dal numero 8 sulla porta, in cui so che è custodito un segreto particolare ma nessuno vuole dirmi cosa c'e', perchè è vietato, io non devo sapere.
Intuisco che grava una sorta di atmosfera tetra, di morte e desolazione nel paese in cui mi trovo: una forza oscura tiene sotto controllo la mente delle persone, gli animali e pure gli edifici. Questa sensazione di impotenza mi crea allucinazioni, vedo nella mia stanza sui muri e sul letto formarsi diversi buchi da cui si diradano delle crepe che si espandono sempre di piu', per poi sparire.
Esco all'esterno e vedo la casa in cui ero, casa abbandonata, come se da un giorno all'altro le persone siano andate via lasciando tutto come è, non c'e' polvere, solo silenzio. Ci sono degli animali nella casa, lasciati da soli poveretti: un cane, delle galline.
Vado verso la chiesa perchè oglio osservare meglio il campanile e vedo che la chiesa non c'e' più: solo 2 mura portanti rimangono, diroccate, sembra che sia stata bombardata da un'aereo.
La torre è intatta, ma vedere controluce le 2 pareti e la torre fa molta impressione, è una immagine spettrale e di abbandono (come le vecchie cattedrali vecchie di secoli abbandonate tra i boschi o in pianure deserte), e tutto ciò non è normale.
Ho incontrato qualcuno che mi parla di qualcosa, non ricordo cosa, e a un certo punto gli dico "Come la camera 8 vero?" e lui si fa serio, l'espressione è minacciosa, ha capito che ho intuito qualcosa ma io non devo sapere niente, così se ne va.
Decido di andare via anche io, mi incammino verso la piccola stazione a piedi e devo imboccare una strada dritta lunga quasi un km e per farlo devo attraversare la strada grande che porta al ponte di Borgoforte. L'ho appena attraversata he che mi trovo 4 persone, 3 uomini e una donna di nazionalità albanese che cercano di attacccare gancio per scroccare un passaggio, ma io dico che non ho auto ne bicicletta. Non mi fido di loro, e poi trasportano un oggetto strano: sembra lo scheletro metallico di una automobile che hanno costruito loro. Non mi piacciono, mi guardano strano...dico loro di attendere la fermata dell'autobus che passa proprio di qua ogni tanto, e mentre parlano fra di loro me ne vado per seminarli e mi incammino nella strada lunga.
Arrivo con fatica alla stazione, entro per fare il biglietto e il bigliettaio (vestito come quelli del 1800) mi dice che per le prossime ore non c'e' nessun treno e dovro' aspettare tanto. Sconsolato, mi giro e dietro di me ecco quegli albanesi con l'espressione affamata di chi vuole approfittarsi di te, allora dico al bigliettaio: "Il mio biglietto vale per loro, lo rifaccia per loro nel posto in cui vogliono andare", cosi' almeno mi libero di queste persone inquietanti e pericolose.
A me tocca rimanere li, da solo, in un posto che non comprendo più.

In ostaggio

Mi trovo in un edificio vecchio di 2-3 secoli, che ospita un ospedale. L'edificio è costituito da diverse "ali", tutte simili come disposizione, probabilmente l'intero edificio è disposto a croce i cui estremi sono rappresentati facciate tutte simili. L'edificio ha almeno tre piani, e dentro è un po' labirintico.
Sono all'ultimo piano, e un gruppo di persone improvvisamente prende in ostaggio me e altri 2-3 ragazzi, ci mette in una stanza i cui muri sono ricoperti di piastrelle lucide di quelle utilizzate nei bagni. Ci minacciano con una pistola, e intanto chiamano al telefono la polizia (che sta fuori) venuta subito a cercare di liberarci: dicono a loro che se entro le 9.30 non saranno esauditi i loro desideri (quali siano non ricordo) ci spareranno e, per confermare quanto dicono, mi fanno avvicinare a loro e parlare al telefono pronunciando il numero di serie della pistola che hanno in mano. Anzi, danno questa pistola a me per farmi leggere il numero di serie scritto in caratteri bianchi piccoli sul metallo nero della pistola a tamburo. Io fatico a leggere e chiedo: "ma quale è? come si legge? la devo girare dall'altro lato per trovare questo benedetto numero".
Queste persone malvage non si accontentano di spararci, minacciano di diffondere nell'aria un pericoloso virus che porta alla morte nel giro di poco tempo in modo indolore ma irreparabile: tramite un fluido giallo (di consistenza simile a uno shampoo) che disperderanno nell'ambiente tutte le persone saranno compromesse.
Il tempo scade, e incazzati neri prendono un ragazzo da sacrificare ma non gli sparano, gli gettano addosso questo fluido giallo, il ragazzo grida dallo spavento e lo portano via tra grida di pietà e di sofferenza (generate solo dalla paura), capisco che siamo arrivati ad un punto critico e prendo una decisione: devo fuggire.
Intanto l'ospedale è stato isolato dal mondo esterno: porte sigillate, corridoi interni tutti cosparsi sul pavimento di sapone anti-germi, via-vai di infermiere e personale dell'ospedale, agitazione palpabile. Approfitto di un momento di distrazione dei miei rapinatori (quello che mi controlla è l'assitente della mia prof della tesi) per fuggire da quella stanza e scappare lungo il primo corridoio che mi trovo davanti. Scendo le scale e mi ritrovo proprio dietro una infermiera che parla al telefono e non si accorge di avermi dietro (se capisce che sono un ostaggio che forse è infetto dal virus mi metterà in isolamento), così la lascio andare in modo che si distanzi da me e non si accorga della mia presenza. Scese le scale al piano intermedio, corro lungo un'altro corridoio cosparso di questo sapone che mi fa scivolare e andare velocissimo, poi ecco un'altra scala e finalmente arrivo al piano terra, esco e scappo fuori.
Nessuno, all'esterno, sa del virus, e' pomeriggio e c'e' il sole, forse siamo in marzo-aprile, corro fuori mezzo nudo (forse sono solo in mutande) e grido a tutti del pericolo: tutti devono sapere cosa sta succedendo li dentro. Le persone si voltano, capiscono la situazione, si preoccupano, si incazzano.
I rapitori capiscono che sono spacciati, che oramai tutti all'esterno sanno tutto, e che può succedere un vero e proprio caos. Così dopo qualche minuto, dalle finestre dell'ospedale, da dei megafoni esce una voce che dichiara che ora verrà diffuso nell'aria l'antidoto e nessuno morirà. Esce dalle finestre un nuovo fluido giallo che si disperde nell'aria, e io capisco che ora è tutto finito, mi sento meglio, il mio gesto di fuga ha avuto l'esito positivo sperato, ora nessuno morirà più, i rapitori sono stati beffati da me. Ma quanta tensione ho dovuto provare!